TODOS LOS MALES

tutto il male possibile

 
 

L’Europa, canuta, siede a teatro per godersi lo spettacolo della Conquista. Quanto di più malvagio ed obsoleto al tempo stesso. Bruciato da specchi ustori che lo illuminano e lo riflettono, il pubblico del vecchio continente assiste a GLI INCA DEL PERÙ un episodio de LE INDIE GALANTI, opera musicale di Jean Philippe Rameau partorita in pieno secolo dei lumi. Lo schermo, il teatro, la lente e lo specchio espongono le contraddizioni dello sguardo, della rappresentazione, dell’arte, l’idea che ci facciamo di noi stessi e il problema dell’altro. Lo specchio che riflette rimanda, come una Gorgone, la doppia immagine di un’assenza di senso e della vergogna. Il colonizzatore è pietrificato, lì sul lido di un mondo nuovo, incapace - o capace solo di guardare se stesso - inadeguato all’incontro.

Il film non è un film concerto, né il film di un allestimento teatrale, è piuttosto una sorta di making of, di fabbrica della rappresentazione, di documentario dell’immaginazione. E nel prodursi riflette su se stesso e dubita di se stesso come una nave che solchi l’abisso. In questo il film è e non è un’opera sull’opera di Rameau. LE INDIE GALANTI sono quasi un accidente, ma un accidente luminoso e sorprendentemente rivelatorio.

 
 

Il titolo del film è tratto da un passo del Requerimiento, documento spagnolo del XVI secolo letto ai nativi pubblicamente, in presenza di un ufficiale regio, ma in assenza di interpreti, perché fosse enunciata la proprietà delle terre e delle persone, quasi una messa in scena del diritto, una sua versione aberrata e perversa. Il documento termina con una minaccia esplicita: qualora i nativi non accogliessero le istanze della Corona e della Chiesa i Conquistadores farebbero loro “…tutto il male possibile”. 

“…y os haré todos los males y daños que pudiere”
— REQUERIMIENTO


 

Un giovane esce nudo dal mare. Si rivolge a un contro campo (la riva) e a un fuori campo (la sala che diventerà, a suo modo, materia visibile). Ma chi guarda chi? Le note sono quelle di Les Incas du Pérou, secondo dei quattro movimenti di Les Indes galantes di Jean Philippe Rameau, celebrazione dell’incontro dell’Europa con gli altri continenti. Chi scopre chi? È questa la domanda da mettere in moto per arrivare a un pensiero post-coloniale fuori dai contorni e da ogni vizio dello sguardo, quello sguardo che riduce l’altro a un’immagine del proprio volere. Todos los males nel mostrarci la storia della principessa inca Phani innamoratasi di un conquistador ci mette di fronte (noi discendenti di quei conquistatori) allo spettacolo della Conquista.

 
 

Le arie dell’episodio, forse, più emblematico di quest’opéra-ballet, per le questioni inaspettatamente attuali che l’attraversano, suonano perfette nella loro problematicità per provare a riflettere sulla contemporaneità. Non si tratta di un documentario che segue la preparazione di un allestimento teatrale; è e non è un film-opera, piuttosto, un «documentario dell’immaginazione» e al tempo stesso un (im)possibile re-enactment, una ri-messa in scena, in azione di quello che è stato con la complicità di una piccola rappresentanza di cittadini italiani di origine peruviana che hanno partecipato attivamente alle riprese e alla scrittura drammaturgica. Todos los males, senza bisogno di prediche o di rassicurazioni edificanti (mix di falsità e buonismo da voltastomaco), ci mette davanti a uno specchio, però ustorio, che concentra i raggi sulle nostre ombre, sulle nostre oscurità, sui nostri bui e sui nostri incolmabili vuoti. E, più che illuminarli, riempirli o rifletterli, li incendia. (Matteo Marelli, Filmmaker Festival)

 
 

CALENDARIO PROIEZIONI

 

*

18 GIUGNO 2023

PREVIEW

ASOLO ART FILM FESTIVAL, ASOLO

*

26 NOVEMBRE 2023

PREMIERE

Cinema Arcobalemo, FILMMAKER FESTIVAL, MILANO

*

2 DICEMBRE 2023

Teatro Testori, LUCY FESTIVAL, FORLI

*

6 DICEMBRE 2023

Cinema Nuovo Eden, DUENDE FESTIVAL, BRESCIA

*

5 FEBBRAIO 2024 h19.30

Cinema Eden, MONTEBELLUNA

 

7 FEBBRAIO 2024 h18.30

Cinema Rossini, VENEZIA

 

13 FEBBRAIO 2024 h17.00

Cinema Dante, MESTRE

 

19 FEBBRAIO 2024 h21.00

Cinema Edera, TREVISO

 

22 FEBBRAIO 2024 h21.15

Cinema Hesperia, CASTELFRANCO VENETO

 

5 MARZO 2024 h20.45

Cinema Fucina, VERONA

 

7 MARZO 2024 h20.30

Cinema Lux, PADOVA

20 MARZO 2024 h18.00

PAVIA

 
 

oro e cenere

di Simone Derai

 

Per complessità di temi trattati e in relazione al risveglio sempre più pressante delle istanze post- e anti-colonialiste, alla loro crescente diffusione e alla centralità che ha assunto il dibattito sulla necessaria decolonizzazione dei linguaggi di cui si nutrono ogni atto culturale e ogni atto politico, così come la loro trasmissione, Les Indes Galantes oggi può apparire insieme come l’opera più giusta e più sbagliata per questo nostro tempo, in un caso e nell’altro per gli stessi motivi.

Anche ad una prima lettura emergono con prepotenza molte delle questioni più urgenti di questo dibattito. Oggi non è possibile riprendere Le Indie Galanti ingenuamente, senza tener conto della distruzione delle civiltà precolombiane ad opera dei conquistadores, della portata e della natura del massacro dei nativi (uno dei più grandi rimossi dell’occidente), e delle conseguenze storiche del colonialismo nel continente americano e nell’orizzonte globale. E soprattutto non si può farlo senza interrogare lo sguardo europeo sull’altro, senza tener conto di quello che Tzvetan Todorov nel sottotitolo de La Conquista dell’America chiamava “il problema dell’altro”. I difetti di sguardo sono subito tutti riconoscibili: miopie, aberrazioni, sfocature, parziali e selettive rimozioni dal campo visivo, semplificazioni, travisamenti, riflessi di sé, esotizzazione. L’atto della colonizzazione non si esaurisce con la conquista violenta di territori, l’annientamento delle culture esistenti, l’assoggettamento delle genti. L’atto colonizzante, che ha alle spalle un’impalcatura di pensiero eretta nell’arco di secoli, perdura oltre la conquista, oltre il processo di cancellazione di lingue, credenze e costumi, ne mantiene viva la violenza, trattenendo l’identità e la complessità dell’altro in una zona dello sguardo che continua a rimanere ridotta e sfocata.

Il filtro dell’amore, attraverso cui si dipana il viaggio esotico de Les Indes Galantes, non deve ingannare. Il termine galante del titolo è eloquente: non c’è nulla di più culturalmente europeo della rappresentazione del sentimento e l’intera opera è tesa a dimostrarne la supremazia. L’opera di Rameau si inseriva precisamente in un genere che celebrava l'accordo tra l'Europa e il mondo in un galante ideale d’amore: ne L'Europe galante di André Campra del 1697 l’Europa ovunque rende omaggio all'ideale dell'amore. Nell'Opéra -Ballet di Rameau è l’Europa galante stessa a determinare la vita di persone in paesi lontani come la Turchia, il Perù degli Inca, la Persia, e le terre dei "selvaggi" nell’America del Nord. Da questo punto di vista Les Incas du Pérou, la seconda entrée de Les Indes Galantes, è forse l’episodio più emblematico e al tempo stesso più sorprendente per noi oggi. Fuzelier e Rameau condensano in un tempo brevissimo una così grande quantità di questioni inaspettatamente attuali, e sanno vivificare i personaggi e le tensioni che si scatenano tra di loro, e tra loro e la Storia, con virate d’umore dell’impianto musicale così rapide e sentite e lampi testuali così sconcertanti, da fare della materia drammatica di questo episodio una vera e propria tragedia storicamente consapevole. Non solo, ma ci lasciano il singolare sapore di un’opera perfetta nella sua problematicità.

Sullo sfondo della Conquista del Perù da parte di Francisco Pizarro e i suoi, avvenuta tra il 1531 e il 1532, la vicenda narra dell’amore di una principessa Inca, Phani, per Carlos, un conquistador spagnolo. Il loro amore è ostacolato da Huascar, un sacerdote del culto inca del Sole, lacerato tra la consapevolezza della devastazione della propria terra e l’amore segretamente provato per la donna: il contrasto tra la grandezza della sua desolazione per le sorti del suo popolo e la bassezza dei mezzi usati per trattenere a sé la donna che ama ne fanno un personaggio che brilla di luce tragica. Dopo aver tentato di dissuadere Phani dall’unirsi a Carlos e ai conquistatori europei invocando leggi, tradizione e divinità, Huascar tenta il tutto per tutto gettando nel cratere di un vulcano - alle pendici del quale è radunato il popolo Inca in occasione della Festa del Sole e verso cui stanno muovendo i soldati di Carlos - alcune pietre con l’intento di provocare un’eruzione e così nel caos avere la meglio, sorprendere gli Spagnoli, consentire al popolo di mettersi in fuga, sottrarre Phani all’abbraccio di Carlos. Nel rapido finale Huascar, vinto, si lascia travolgere dalla violenza della lava.

Nel mettere in scena Les Incas du Pérou oggi, qualunque via rappresentativa non può che incappare nell’errore, in molteplici errori, in infiniti errori, non può cioè che ricadere nella rete (nella rétina!) di quello sguardo difettoso. Qualunque azione mirata alla rappresentazione, concepita e diretta da artisti europei, finirebbe ancora una volta per dipingere il volto dell’altro per approssimazione; per quanto vivo l’entusiasmo e bruciante l’urgenza, ancora una volta il ritratto sarebbe dipinto dalla stessa prospettiva che per secoli ha semplificato, esotizzato, ridotto, rimosso. E anche qualora la spinta e le motivazioni fossero quelle nobili del rendere giustizia, il rischio è quello di assumersi la posizione altrui e appropriarsi della voce di molti che così facendo verrebbero involontariamente zittiti ancora una volta. Non rende più semplice la questione il fatto che nelle maglie del testo de Les Incas du Pérou siano chiaramente espresse istanze illuministe, che l’amore di Carlos e Phani appaia come metafora della ragione contro l’oscurantismo espresso dal richiamo di Huascar alla legge della religione, e che dunque il vero soggetto della rappresentazione non sarebbe l’altro (il Nuovo Mondo, popoli pagani e infedeli), ma il Vecchio Continente stesso, l’Europa e le sue esigenze di progresso.

Tuttavia il vecchio vizio di sguardo, guardare solo se stessi, specchiarsi negli altri fino a non vederli più, autocelebrarsi, può per assurdo suggerire una chiave per smontare la propria arroganza. Accogliere il limite della prospettiva e rivolgere lo sguardo verso di sé ancora una volta ma criticamente, rendere sé stessi e la propria storia soggetto di un ritratto più consapevole. L’affresco video concepito e realizzato per questa esecuzione de Les Incas du Pérou è insieme un lavoro sulla tradizione coloniale dell’Europa, sullo sguardo (chi guarda chi? chi scopre chi?), sulla pericolosità della rappresentazione e pur tuttavia sulla sua irriducibile necessità, sul fallimento storico di un incontro e pur tuttavia sull’apertura di senso inaspettato che le vite individuali sanno spalancare. Questo lavoro, interamente girato in Veneto tra campi di mais (ormai lontanissimo dalla pianta per la prima volta incontrata ed importata dai colonizzatori), allevamenti di alpaca e lama (nel trevigiano) e boschi bruciati (la pineta di Bibione), finge platealmente un’impossibile ri-costruzione; eppure incontrando una piccola rappresentanza della comunità peruviana in Italia, cittadini italiani di origine peruviana che hanno partecipato attivamente alle riprese e alla scrittura drammaturgica, finisce per essere una fotografia autentica di un’Italia rimossa, quella multietnica che, nel labirinto delle vite e della Storia, corre verso la creazione di un nuovo arazzo futuro nel tentativo di superare – comprendendolo - il passato.

La didascalia iniziale con cui si apre il libretto di Louis Fuzelier suggerisce un deserto desolato di cenere e rocce laviche alle pendici del vulcano. Il nostro affresco immerge i personaggi in una selva verdissima che solo progressivamente è sostituita da una foresta ridotta completamente in cenere dalla violenza vulcanica della colonizzazione. L’oro degli Inca, che fu sottratto con bramosia inaudita per mezzo di inganni, branchi di cani alimentati a carne umana e altre crudeltà indicibili, è qui riprodotto in cartapesta. L’oro, il dio dei colonizzatori, è un dio senza senso. Lo specchio che riflette rimanda, come una Gorgone, l’immagine di questa assenza di senso e della vergogna.

 
Il colonizzatore è pietrificato lì sul lido, inadeguato all’incontro con l’altro.
— SIMONE DERAI
 

TODOS LOS MALES

director
Simone Derai

artistic project
Anagoor

photography
Giulio Favotto

starring
Juana Myriam Chero Tarazona - Maria Elena Soto Chero (Phani) - Marco Ciccullo (Carlos) – Cristian Alexis Alarcon Jara (Huascar) - Ekaterina Protsenko (Soprano) Nicholas Scott (Tenor) - Renato Dolcini (Baritone)

orchestra and choir
Arturo Toscanini Philharmonic Orchestra - Giulio Prandi | Conductor
Ghislieri College University Choir - Luca Colombo | Choirmaster

production 2023

Anagoor, Kublai Film, Sagra Musicale Malatestiana